I consumi alimentari: le tappe evolutive dal dopoguerra ad oggi
È possibile schematizzare le tappe evolutive delle abitudini alimentari, all’interno dell’evoluzione più generale dei consumi (tav. 1; figg. 7 e 8).
Dal dopoguerra agli anni Settanta, può definirsi il periodo della fine della povertà di massa
È la fase in cui decolla la corsa al benessere come motore dello sviluppo e della trasformazione socioeconomica del Paese, e le famiglie conquistano quote crescenti di un reddito che annualmente cresce a tassi sconosciuti sino ad allora. Solo nel periodo 1946-1961 (quindi, ben prima che il benessere si generalizzasse ovunque) i consumi crescono in termini reali del +293,6%, quando dal 1926 al 1941 erano cresciuti del +14,3%.
Arrivano i primi stimoli robusti della pubblicità con la diffusione della televisione, prevale un’idea di benessere a portata di mano e di beni da ostentare una volta raggiunti. I consumi alimentari cominciano ad evolversi anche in relazione agli impatti della rapida diffusione di nuove opportunità tecnologiche, come gli elettrodomestici, la disponibilità di cibi in lattina, di omogeneizzati, di surgelati. È una fase in cui i consumi alimentari hanno tassi di incremento molto alti, anche perché partono da livelli sicuramente bassi.
Gli anni Settanta: Il grande balzo in avanti
Gli anni Settanta riletti in chiave Censis sono connotati da una profonda modernizzazione socioeconomica con la proliferazione imprenditoriale, la crescente mobilità sociale, le persistenti migrazioni verso i centri urbani, gli effetti visibili della scolarizzazione di massa, e i diversi aspetti di fenomenologie tipiche di un paese in rapida crescita, che nella sua corsa subisce però gli impatti di una prima grande crisi globale, avviata dal rialzo del prezzo del petrolio.
È soprattutto la fase delle famiglie con reddito combinatorio (dal doppio lavoro all’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro, dai lavoretti stagionali ai lavori informali e dell’economia sommersa) e con la crescita del reddito disponibile per la spesa, si avvia irresistibilmente il passaggio verso una società dei comportamenti individuali, dei consumi come fattore primo caratterizzante gli individui.
La spesa alimentare pro-capite espressa in valori dell’anno 2000 raggiunge 1.626 euro pro-capite nel 1979, con un incremento di oltre il 12% in termini reali. In quota sul totale della spesa per consumi, quella alimentare rappresenta più di un quinto del totale, e tuttavia avrà nel corso di questo decennio, che pure è dominato da una vera e propria frenetica corsa all’aumento dei consumi alimentari, una contrazione.
Gli anni Ottanta: L’era del pieno consumo
È il decennio della Famiglia S.p.a., consapevole del nuovo benessere, alla ricerca di forme di diversificazione degli investimenti; i consumi in generale, anche quelli alimentari, beneficiano di questo raggiunto benessere, che si esprime in nuova capacità di spesa dopo il primo grande salto dei consumi espresso nei decenni precedenti. In questa fase, il Censis descrive la società italiana come impegnata in “una corsa al pieno consumo … se sono andate man mano accorciandosi le vecchie code (la casa in proprietà, la prima automobile, il consumo alimentare di base, ma anche l’accesso all’istruzione, la vacanza e così via); la spinta è andata concentrandosi sulle aree di nuova acquisizione (la seconda casa, la seconda automobile, il cibo fuori casa, i corsi complementari alla scuola pubblica, le vacanze differenziate…).
Alla fine del decennio il consumo alimentare pro-capite registra un incremento percentuale rispetto al decennio precedente pari a quasi il 10%, a testimonianza di una incessante dinamica di crescita. Tuttavia, la variazione percentuale nel corso del decennio è pari a meno del 7%, molto lontana dal valore dello stesso indicatore nel corso degli anni Settanta.
È una fase in cui la soggettività si esprime ancora soprattutto tramite la sua capacità di esibire il livello quantitativo di consumi e benessere, anche se va emergendo una maggiore attenzione alla capacità individuale di scegliere, di differenziarsi, di ritagliare i consumi sulle proprie esigenze.
Anni Novanta: Più beni, spendendo meno
Nel corso del decennio la spesa alimentare cresce rispetto al decennio precedente del +4,8%, mentre il suo incremento negli anni che vanno dal 1990 al 1999 è del +4,2%. È ancora un trend robusto di crescita, e tuttavia non si può non constatare come esso si muova lungo una parabola discendente rispetto agli anni Ottanta che, come rilevato, già vedevano a loro volta un robusto taglio dei tassi di crescita rispetto al decennio precedente.
La spesa alimentare scende come quota del totale dei consumi fino a rappresentare il 15,4% di essi, e questo ovviamente rinvia alla diversa intensità di crescita dei vari aggregati. Il Pil negli anni Novanta cresce ad un tasso annuo medio dell’1,4%, i consumi complessivi ad un tasso del +1,6%, mentre quelli alimentari hanno un tasso medio annuo di crescita dello 0,5%.
L’arrivo della Gdo costituisce uno dei fenomeni chiave del decennio che incide in modo molto marcato sulle abitudini alimentari degli italiani. Tuttavia, proprio nel corso di questo decennio che è ancora di moltiplicazione del consumo a tutti i livelli, maturano anche quelle aspettative, già sedimentate nel decennio precedente, per una qualità di massa, “… vale a dire una ricerca, ancora esplorativa di beni e servizi tendenzialmente esclusivi, non standard, riconoscibili… cosa che rappresenta una vera sfida per il mercato dell’offerta.”
In questo decennio, poi, diventa anche molto più intensa la destrutturazione dei pasti in casa, visto che il fatturato della spesa alimentare fuori casa sul totale arriva a rappresentare oltre il 44% del totale.
Anni 2000: Più qualità che quantità
Nei primi nove anni del nuovo millennio diventa cruciale la globalizzazione e una certa insicurezza che si installa nel cuore del sociale, fenomeni entrambi che hanno contraccolpi rilevanti sul rapporto delle persone con l’alimentazione.
Si è registrato un mutamento epocale nel rapporto con i consumi alimentari e più in generale con i consumi, perché in pratica i primi sono sostanzialmente fermi, con un tasso di crescita medio annuo del +0,1%, di contro ad un incremento medio annuo della spesa totale pari al +0,6%.
A contare non sono più le dinamiche incrementali, quelle indotte dal ritmo di crescita quantitativo, dalla logica del di più è sempre meglio che ha segnato, sia pure con decrescente intensità, il rapporto con la spesa e i consumi alimentari del nostro Paese.
Nei mercati, la Gdo rappresenta oltre il 70% della spesa alimentare, mentre la spesa per il fuori casa rappresenta la metà del totale della spesa alimentare.
Si fanno strada nel consumo alimentare massificato trend partiti come espressione di nicchie altamente motivate: dai prodotti di origine controllata e protetta, ai prodotti biologici, a quelli equo solidali.
La sicurezza e la genuinità diventano obiettivi essenziali, e inoltre una popolazione che invecchia decide di utilizzare anche una alimentazione adeguata a contrastare gli effetti sulla salute e sul corpo del tempo che passa. In realtà, la dieta reale di rado coincide con quella ottimale, ma ciò non riduce il peso del salutismo come riferimento valoriale e pratico rispetto a quello che si mangia, tanto da generare, laddove non si riesce a mettere i precetti in pratica, un diffuso senso di colpa di massa. Ecco perché la persistente dinamica di crescita dell’alimentazione extradomestica oltre a rispondere ad esigenze lavorative e a voglia di convivialità, sempre più diventa anche l’occasione per mangiare quello che si preferisce rompendo qualsivoglia dieta guidata, controllata.
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